Il seguente articolo parte da un presupposto molto importante: le aziende che competono nel mercato globale devono ottenere risultati innovativi significativi in prodotti e servizi per avere successo nel mercato. Uno dei temi principali è quello del comportamento di lavoro innovativo, identificato con la sigla IWB, strettamente correlato all’identità personale creativa ovvero il comportamento che hanno gli individui che lavorano in team e che utilizzano nuove idee per migliorare prodotti, servizi o processi. Quali sono effettivamente le correlazioni che possono nascere tra un comportamento tale ed una performance aziendale collettiva o del singolo?
Le aziende investono sempre più nella formazione dei dipendenti per impartire conoscenze aggiornate al fine di aumentare la loro predisposizione al lavoro che a sua volta migliora le prestazioni dell’intera organizzazione. Il comportamento di condivisione della conoscenza dei dipendenti (KSB) gioca un ruolo importante nella gestione efficace della conoscenza, che li motiva a pensare in modi più critici e creativi e li rende soddisfatti del loro lavoro. D’altro canto, anche il benessere esperito a livello individuale e organizzativo attraverso l’esperienza lavorativa costituisce un antecedente importante della volontà e disponibilità alla condivisione da parte dei singoli lavoratori, nonché un fattore di performance.
Gli studi che indagano specificamente il legame tra KSB ed i risultati legati al lavoro come la soddisfazione lavorativa(JS) ed il comportamento lavorativo innovativo (IWB), considerando anche l’effetto del linguaggio moderatore (ML) del leader, hanno fornito risultati tra loro non certi e coerenti. Pertanto è necessario condurre studi approfonditi per ottenere un know-how più ampio riguardo a queste relazioni.
Per meglio capire come dobbiamo comportarci e come dobbiamo rispondere a tali esigenze, è bene capire il contesto in cui sarà importante lavorare, ovvero quello relativo alla gig economy, cioè un mercato del lavoro che si stanzia sul breve termine. Una caratteristica distintiva della gig economy è che gli individui che lavorano in questo spazio sono quasi universalmente considerati appaltatori indipendenti.
La digitalizzazione, o la trasformazione dei processi attraverso le nuove tecnologie digitali, continua a guidare il cambiamento sociale ed economico, in un contesto che ha portato alla nascita della cosiddetta Sharing Economy, ovvero “un’economia generata dall’allocazione ottimizzata e condivisa delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi tramite piattaforme digitali’ i cui gestori ‘agiscono da abilitatori mettendo in contatto gli utenti e possono offrire servizi di valore aggiunto”; inoltre “tra gestori e utenti non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato’”.
In questo contesto sono nate le piattaforme digitali che sfruttano la tecnologia per mediare fra domanda e offerta di lavoro. Le caratteristiche di una piattaforma di sharing possono essere suddivise in tre parti principali:
- Luogo non fisico, impersonale e digitale;
- Tipologia di skill richiesta variegata in base alle esigenze;
- Relazione tra gli attori di tipo triangolare dove la piattaforma, i lavoratori iscritti alla piattaforma ed i clienti comunicano ed interagiscono costantemente.
Tale articolo permetterà di utilizzare, oltre ad un core business incentrato sulle persone e sulla loro professionalità (in termini di job skills & expertise), anche una serie di strumenti che permettano di monitorare e gestire il benessere delle organizzazioni e degli individui coinvolti al suo interno, che verranno approfonditi nei prossimi articoli.
Situazione italiana:
In Italia, secondo gli studi della Commissione Europea, tenendo in considerazione dipendenti, fatturato e attivo di bilancio, le PMI sono circa 3.791.000, di cui 172.324 sono piccole imprese e circa 3.600.000 sono microimprese.
Le PMI Italiane hanno prodotto un giro d’affari di oltre 886 miliardi di euro e un valore aggiunto di 212 miliardi di euro (pari al 12,6% del Pil). La scelta di puntare su un tessuto variegato e trainante come quello delle PMI nasce da un assunto principale ovvero che il ruolo dell’HR manager è interiorizzato all’interno delle figure amministrative dell’azienda e la ragione è strettamente legata a risorse economiche non sufficienti per la presenza di un dipartimento specifico in azienda.
Il cambiamento che ha portato alla digitalizzazione è stato lento ma inesorabile, rendendo necessario rivedere quello che è il ruolo dell’HR manager, non più come mera figura amministrativa di buste paghe e cedolini, ma come vero e proprio promotore di innovazione e di cambiamento organizzativo. Secondo uno studio di Talent Garden è proprio il ruolo dell’HR Manager ad essere il promotore di un cambiamento, una figura definita come un “leader ibrido” perchè le persone e le esigenze del business cambiano continuamente, necessitando dunque di nuove capacità digitali e strategiche.
La necessità di modificare la nostra visione circa l’utilizzo strategico delle risorse umane ha trovato nella fase di lockdown, ed in quelle successive, una serie di sfide che hanno spinto ulteriormente verso un processo già iniziato da tempo e l’urgenza è diventata la chiave per affrontare il breve ed il medio periodo con modalità diverse.
Il cambiamento organizzativo necessario ed inaspettato dovuto alla pandemia ha generato un test importante per tutte le aziende sul territorio nazionale ed internazionale rendendo essenziale l’utilizzo di strumenti di cui, la maggior parte delle aziende italiane, non aveva né le strutture e nè le capacità di adottare.
Lo Smart Working è stato uno strumento che ha permesso di mantenere vivo il panorama organizzativo italiano e, come i dati dell’osservatorio HR del Politecnico di Milano dimostrano, lo smart working è stato ampiamente utilizzato, rendendo poi necessario lo sviluppo di una nuova cultura e competenze digitali o delle vere e proprie riorganizzazioni. Bisognerà modificare la normalità e spostarsi verso quei modelli organizzativi più agili e più resilienti, con nuovi modelli di leadership e cultura manageriale, ormai inadeguata ad affrontare le nuove sfide.
Se l’obiettivo della piattaforma è proprio quello di andare a colpire un settore strategico come quello dei servizi per la gestione delle risorse umane nelle PMI, in un tempo dove le tecnologie digitali abilitano servizi di comunicazione istantanea e senza limiti, né fisici né temporali, dall’altra lo scopo del progetto verte sul concetto di knowledge sharing e del valore intrinseco che l’utilizzo di uno strumento di questo tipo possa apportare al panorama organizzativo moderno. Come già precedentemente menzionato, l’inserimento di una figura come quella dell’HR Manager trova una perfetta collocazione nell’era digitale odierna, supportata però da un processo di outsourcing che tende a generare figure nuove ed importanti come quella del Temporary Manager HR o di un consulente esperto: “Lo scopo di un Temporary Manager non è quello di rimanere all’interno dell’azienda ma di lasciarvi gli strumenti di cui dispone e le metodologie apprese in anni di esperienza in altre realtà.”